Friday, March 27, 2009

A Long Way From Home, and Moving at Great Speed

Saturday, March 21, 2009

Oaxaca, Mexico Workshop

Quotes on Time

Homesickness
by: Du Fu (712-770)
translated by W. J. B. Fletcher


Upon the river's whiteness the birds more clearly fly.
And with the greenness of the hills the flowers more brightly vie.
In gazing on them all this Spring has slowly passed away.
The day that brings me home again--how long will Time deny?


http://en.wikipedia.org/wiki/Play_Without_a_Title_(Lorca)

Friday, March 20, 2009

The problem is not solved

Grande Cagliari

Settemila cani randagi liberi
nelle strade della provincia.
Numero impressionante,
secondo l'Enpa. Soprattutto se
si accosta alle aggressioni degli
ultimi giorni in Sicilia, dove un
bimbo è stato sbranato e una
turista tedesca è stata aggredita
da un branco senza controllo.
L'ente nazionale protezione
animali ha individuato quali
sono le zone più a rischio in città:
Molentargius, Santa Gilla, il
porto, l'ex cava di Monte Urpinu.
E ancora: Tuvixeddu, Calamosca
e il villaggio dei pescatori.
Qui mute di cani di grossa
taglia spadroneggiano e, anche
se per fortuna non si sono registrati
episodi gravi, fanno
paura a chi le frequenta.
La soluzione?
Per il coordinatore regionale
Enpa Emanuele Deiana
il problema si può arginare solo
con la sterilizzazione. Una contromisura
già messa in campo
dal lo stesso Comune: il sindaco
ha firmato all'inizio del mese la
quarta ordinanza che impone
la castrazione dei randagi. Che,
dopo l'intervento, dovranno
però tornare in strada: il canile
e la struttura convenzionata sono
pieni.

alessandra.loche@epolis.sm

Il Sardegna
19 marzo 2009

Double, double toil and trouble

Thursday, March 19, 2009

Toute âme est une mélodie qu'il s'agit de renouer.

Tuesday, March 17, 2009

Ingrid Betancourt pide el divorcio a Lecompte

Nuovo attacco di cani: grave una donna

Sunday, March 15, 2009

C'era una volta

Adam Ries est décédé en 1559. Annegret Muench occupe désormais la demeure du mathématicien qu'elle a transformée en siège de son association dédiée à la mémoire de M. Ries. C'est donc elle qui a reçu cette étrange lettre demandant au mathématicien de payer sa redevance audiovisuelle. Mme Muench a renvoyé un courrier signalant que cette demande arrivait avec 450 ans de retard car il était décédé. Malgré cela, elle a reçu une relance quelques semaines plus tard. Apparemment cette erreur n'est pas la première : l'année dernière, le poète Friedrich Schiller avait lui aussi reçu une lettre lui réclamant le paiement de la redevance audiovisuelle alors qu'il est décédé en 1805.

Don Quijote de la Mancha

Romeo e Giulietta

ROMEO E GIULIETTA

William Shakespeare
Primo atto
SCENA I - Verona, una piazza davanti alla casa dei Capuleti

Entrano SANSONE e GREGORIO con spada e scudo

SANSONE - E che! Siam tipi da portar carbone,
noialtri?

GREGORIO - Ah, certo no!
Noi paghiamo a misura di carbone!

SANSONE - E se ci salta poi la mosca al naso
tiriamo fuori questa.

(Indica la spada al suo fianco)

GREGORIO - Che scoperta!
È come se dicessi: "Finché vivo
tiro fuori il mio collo dal collare"

SANSONE - Io, se mi smuovo, le scarico brutte.

GREGORIO - Sì, soltanto che a smuoverti e a menare
ci metti qualche tempo.

SANSONE - Basta ch'io veda un cane di Montecchi.
Mi basta quello per farmi scattare.

GREGORIO - Già, ma scattare è muoversi;
rimanere ben saldi sulle gambe,
quello è coraggio. Se tu scatti, scappi.

SANSONE - No, so scattare pure stando fermo:
mi basta d'incontrarmi con un cane
di quella gente là. Fa' che l'incontro,
sia maschio o femmina, io prendo il muro.

GREGORIO - Con questo fai vedere che sei stroppio;
perché al muro ci va sempre il più debole.

SANSONE - Questo è vero; è per questo che le donne
che sono i vasi più deboli e fragili,
vanno sempre appoggiate spalle al muro.
Perciò io sai che faccio?
Caccio dal muro i servi dei Montecchi
e ci appoggio le serve.

GREGORIO - Qui però
ci sarà da vedersela fra uomini,
padroni e servi.

SANSONE - Per me fa lo stesso.
Mi mostrerò tiranno:
combattuto che avrò coi loro uomini,
sarò gentile con le loro donne...
Taglio loro la testa.

GREGORIO - Ma che dici!
Vuoi tagliare la testa alle ragazze?

SANSONE - La testa... Insomma far loro la festa.
Prendila come vuoi

GREGORIO - Non sono io,
sono esse che se la devon prendere
nel senso che vuoi tu.

SANSONE - E puoi star certo
che fintanto che mi sto ritto in piedi,
quelle mi sentiranno. Lo san tutte
che bel tocco di carne è il sottoscritto.

GREGORIO - E buon per te che non sei nato pesce,
perché saresti nato stoccafisso...
Piuttosto tira fuori quell'arnese,
che arriva gente di Casa Montecchi.

Entrano ABRAMO e BALDASSARRE

SANSONE - Io la mia lama l'ho bell'e snudata.
Attacca tu per primo. Io ti spalleggio.

GREGORIO - "Spalleggio"... che vuoi dire?
Mi rivolgi le spalle e te ne scappi?

SANSONE - No, non temere.

GREGORIO - Eh, di te ho paura.

SANSONE - Restiamo dalla parte della legge,
lascia che siano loro a cominciare.

GREGORIO - Io gli passo davanti,
e gli faccio gli occhiacci del dispetto.
E la prendano pure come vogliono.

SANSONE - La prenderanno come avranno il fegato.
Io gli faccio gli occhiacci,
mi mordo il pollice in faccia a loro,
e lo faccio schioccare, ch'è un insulto.
E se la prendon male, tanto meglio.

(Fa il gesto di mordersi il pollice)

ABRAMO - Per noi ti mordi il pollice, compare?

SANSONE - Io sì, mi mordo il pollice.

ABRAMO - Ti sto chiedendo s'è verso di noi
che te lo mordi. Rispondimi a tono.

SANSONE - (A Gregorio, a parte)
Se rispondo di sì, sto nella legge?

GREGORIO - (A Sansone, a parte)
No.

SANSONE - No, compare. Se mi mordo il pollice,
non è per voi. Però mi mordo il pollice.
Ma non vorrete mica attaccar briga?

ABRAMO - Briga, noi? No.

SANSONE - Ma se n'aveste l'uzzolo,
io sono a vostra piena discrezione.
Il mio padrone vale quanto il vostro.

ABRAMO - Ma non di più.

SANSONE - D'accordo.

GREGORIO - (A Sansone, a parte)
Di' "di più",
sta venendo un parente del padrone.

SANSONE - Vale di più, sissignore!

ABRAMO - Tu menti!

SANSONE - Fuori le spade, se siete degli uomini!
Gregorio, pronto con il tuo fendente.

(Si battono)

Entra BENVOLIO

BENVOLIO - Fermi, insensati, fermi! Giù le spade!
Idioti! Non sapete quel che fate!

(S'intromette, e con la propria spada fa abbassare a terra quelle dei contendenti)

Entra TEBALDO e s'accosta a Benvolio, sussurrando

TEBALDO - Sei bravo, eh?, Benvolio, a trar la spada
in mezzo a questi timidi cerbiatti!
Vòltati, e guarda in faccia la tua morte.

BENVOLIO - Sto solo a metter pace tra costoro.
Perciò rinfodera, o almeno adoprala
a darmi mano a rappacificarli.

TEBALDO - Che! Tu parli di pace spada in pugno?
Questa parola "pace" io la odio
come l'inferno, i tuoi Montecchi e te!
A te, vigliacco, in guardia! Fatti sotto!

Si battono. Entrano parecchie persone delle due famiglie e si accende una zuffa generale; poi sopraggiungono dei cittadini armati di mazze

CITTADINI - Mazze ferrate! Picche! Partigiane!
Datevi addosso, ammazzatevi tutti!
Capuleti, Montecchi, morte a tutti!

Entra il vecchio CAPULETI, uscendo di casa,
in vestaglia, con MONNA CAPULETI

CAPULETI - Che diavolo di pandemonio è questo?
Qua il mio spadone!

MONNA CAPULETI - Sì, la tua stampella!
Una stampella dategli, piuttosto!
Perché chiedi una spada, che vuoi farci?

CAPULETI - Il mio spadone! C'è il Montecchi, il vecchio,
che viene a provocarmi, spada in pugno!

Entrano il vecchio MONTECCHI con MONNA MONTECCHI

MONTECCHI - Vile d'un Capuleti!

(Fa per slanciarsi, spada in pugno, contro il Capuleti, ma la moglie lo trattiene)
... E non tenermi!
Lasciami andare!

MONNA MONTECCHI - Non farai un passo,
per andarti a scontrar con un nemico.

Entra il PRINCIPE SCALIGERO col suo seguito

PRINCIPE - Sudditi ribellanti,
nemici della pace,
profanatori delle vostre spade
con sangue cittadino!... Non m'ascoltano!...
Oh, dico a voi, non uomini, ma bestie,
che spegnete la perniciosa rabbia
che v'infiamma nelle vermiglie polle
sgorganti dalle vostre vene! Fermi!
Da quelle vostre mani insanguinate,
gettate a terra, a pena di tortura,
i maltemprati acciai,
ed ascoltate la vostra condanna
dalle labbra dello sdegnato Principe.
Tu, vecchio Capuleti, e tu, Montecchi,
avete già tre volte disturbato
la bella quiete delle nostre strade
con zuffe sorte da parole al vento,
e costretto anche i vecchi cittadini
di Verona a gettar l'austere vesti
per tornare a impugnar le vecchie picche,
ormai coperte di ruggine in pace,
per separare il vostro antico odio.

Se disturbate ancor le nostre strade,
saran le vostre vite, ve lo giuro,
a pagar la rottura della pace.
Per questa volta, tutti gli altri a casa.
Tu, Capuleti, vieni via con me,
e tu, Montecchi, questo pomeriggio
tròvati nella vecchia Villafranca
dov'è la nostra Corte di Giustizia,
per conoscer le loro decisioni
sul seguito da dare a questo caso.
Ora via tutti: a pena capitale,
ordino a tutti di sgombrare il campo!

(Escono il Principe col seguito, Capuleti,
Monna Capuleti, Tebaldo e gli altri)

Restano il vecchio MONTECCHI, MONNA MONTECCHI e BENVOLIO

MONTECCHI - Di' un po', nipote, chi ha rinfocolato
quest'annosa querela?
Tu eri qui quando hanno cominciato?

BENVOLIO - Quand'io sono arrivato era già in corso
tra i loro e i vostri una dannata rissa.
Per cercare di separarli ho tratto
la mia spada, ma in quello stesso istante
è sopraggiunto irruente Tebaldo,
spada in pugno, e fiatandomi agli orecchi
baldanzosi propositi di sfida,
comincia a sventagliarsela sul capo
fendendo l'aria che, non vulnerabile,
fischiava, come a beffarsi di lui.
Mentre ci scambiavamo colpo a colpo,
e la gente accorreva da ogni parte,
e la zuffa cresceva e s'ingrossava,
è giunto il Principe, che ci ha divisi.

MONNA MONTECCHI - Romeo dov'è? L'hai visto stamattina?
Sono proprio contenta
che non si sia trovato in questa rissa.

BENVOLIO - Signora, vi dirò: questa stamattina,
poco prima che il sole s'affacciasse
all'indorata finestra d'oriente,
un certo turbamento dello spirito
m'aveva spinto a uscir fuori di casa;

e proprio là, sotto quel bosco d'aceri
che sorge ad ovest della città,
m'è occorso di vedere vostro figlio
che vagava anche lui sì di buon'ora.
Gli sono andato incontro, ma lui, subito,
come s'è accorto della mia presenza,
è scomparso nel fondo del boschetto.
Io, misurando dalla sua tristezza
la mia che anch'essa cercava sollievo
dove meno rischiasse d'esser vista
essendo già di peso anche a me stesso,
ho proseguito nel mio stato d'animo,
senza curarmi di seguire il suo,
volentieri schivando d'incontrare
chi volentieri da me s'involava.

MONNA MONTECCHI - L'han già notato là molte mattine
a far più rorida, con le sue lagrime,
la recente rugiada mattutina,
e ad addensar le nuvole del cielo
coll'umor dei profondi suoi sospiri.
Poi, come il primo rallegrante raggio
dall'estreme regioni dell'oriente
prende a scostare dal letto d'Aurora
le fumose cortine della notte,
quell'intristito povero mio figlio,
furtivo, quasi schivo della luce,
corre a casa, si rimprigiona in camera,
e lì, sbarrate tutte le finestre,
ed escludendo dalla sua persona
la benefica luce del mattino,
si riproduce, ad arte, un'altra notte.
Questo umor tetro gli sarà fatale
se non l'aiuti qualche buon consiglio
a rimuoverne la segreta causa.

BENVOLIO - E quella causa voi, nobile zio,
la conoscete?

MONTECCHI - No, non la conosco,
né ho modo di conoscerla da lui.

BENVOLIO - Avete già provato a interrogarlo?

MONTECCHI - Ci ho provato, e com'io molti altri amici.
Ma il solo confidente del suo male,
è lui stesso... non so quanto sincero;

e tanto chiuso in sé, tanto segreto,
tanto profondamente impenetrabile,
tanto restio a lasciarsi sondare,
da somigliare al bocciolo d'un fiore
che, morsicato da un maligno verme,
esita a schiudere i soavi petali
all'alitar dell'aria e offrire al sole
l'olezzante fiorita sua vaghezza.
Potessimo saper da dove viene
il suo male, faremmo volentieri
quanto necessitasse per curarlo.

Entra, dal fondo, ROMEO

BENVOLIO - Ma eccolo. Mettetevi in disparte:
mi deve dir lui stesso, di sua bocca,
che cos'è che l'ambascia,
o deve dirmi mille volte "No"!
Vi prego, allontanatevi.

MONTECCHI - Spero che tu sia tanto fortunato
da ottenere a quattr'occhi, qui, da lui,
una schietta apertura. Andiamo, cara.

(Escono il Montecchi e Monna Montecchi)

BENVOLIO - (A Romeo che intanto s'è avvicinato)
Buon mattino, cugino.

ROMEO - Così giovane è ancora questo giorno?

BENVOLIO - Sono appena le nove.

ROMEO - Ah, l'ore tristi
come son lunghe all'uomo!... Era mio padre
quello che se n'è andato così in fretta?

BENVOLIO - Tuo padre, sì... Ma quale interna pena
fa tanto lunghe l'ore di Romeo?

ROMEO - La pena di non posseder per sé
la cosa che gliele farebbe brevi.

BENVOLIO - Innamorato?...

ROMEO - Fuori...

BENVOLIO - Dall'amore?

ROMEO - No, dalle grazie di colei che amo.

BENVOLIO - Ah, perché Amore, sì bello alla vista,
si deve dimostrar così tiranno
e crudele alla prova!

ROMEO - Ahimè, è bendato,
Amore, e deve scernere senz'occhi
le vie che vanno dritte alle sue voglie...
Beh, dove si va a pranzo oggi?...
(Vedendo sangue in terra)
Ohilà!
Che zuffa ci sarà mai stata qui?
Però è inutile che me lo dici,
ho tutto udito. C'entra molto l'odio,
in tutto questo, ma ancor più l'amore.
O amor litigioso! Odio amoroso!
O tutto prima creato dal nulla!
O vana serietà! Vanità seria!
O caos informe di splendide forme!
O plumbea piuma! Lucida caligine!
Gelido fuoco! Inferma sanità!
Sonno insonne, che è quel che non è!
Questo è l'amore ch'io mi sento dentro,
senza nulla sentire che sia amore.
Non ridi?

BENVOLIO - No, cugino. Se mai, piango.

ROMEO - E di che, cuor gentile?

BENVOLIO - Del tuo cuore,
così gentile e così pien d'ambascia.

ROMEO - È la crudele legge dell'amore.
Già le pene del mio pesano troppo
sul mio cuore, e tu vuoi ch'esso trabocchi
coll'aggiungervi il peso delle tue:
giacché quest'affettuosa tua premura
altro non fa che aggiunger nuova ambascia
a quella che m'opprime, ch'è già troppa.
L'amore è vaporosa nebbiolina
formata dai sospiri;
se si dissolve, è fuoco che sfavilla
scintillando negli occhi degli amanti;
s'è ostacolato, è un mare alimentato
dalle lacrime degli stessi amanti.
Che altro è più? Una follia segreta,
un'acritudine che mozza il fiato,

una dolcezza che ti tira su.
Addio, cugino.

(Fa per andarsene)

BENVOLIO - Aspetta, t'accompagno.
Mi fai torto a piantarmi così in asso.

ROMEO - Oh, ho smarrito me stesso...
Non son io il Romeo che vedi qui.
Romeo è altrove.

BENVOLIO - Dimmi, seriamente,
chi è quella di cui sei innamorato?

ROMEO - "Seriamente", perché? Devo esser triste
per dirtelo, piangendo?

BENVOLIO - Senza piangere,
ma seriamente, dimmi, chi è che ami?

ROMEO - Puoi domandare ad un malato grave
di fare "seriamente" testamento?
La tua è una domanda posta male,
per uno che si sente tanto male.
"Seriamente", cugino, amo una donna.

BENVOLIO - Avevo allora ben colto nel segno
nel supporre che sei innamorato.

ROMEO - Infatti. Sei un bravo tiratore.
E la donna che amo è una bellezza.

BENVOLIO - Un bel bersaglio è subito centrato,
caro il mio bel cugino!

ROMEO - Questo, però, non l'hai centrato affatto:
la freccia di Cupido non la tocca!
Ella ha il segno di Diana,
e, ben protetta dentro la corazza
della sua castità, rimane indenne
dalla quadrella del fragile arco
del fanciullo Cupido.
Sfugge all'assedio di frasi d'amore,
schiva l'incontro d'invadenti sguardi,

e non apre il suo grembo manco all'oro
che pur si dice che seduce i santi.
Oh, è ricca di beltà,
povera solo in questo: morta lei,
morirà insieme con la sua bellezza
il magazzino della sua ricchezza.

BENVOLIO - Ha fatto forse voto
di mantenersi casta finché vive?

ROMEO - Credo proprio di sì: ed è un risparmio
che si risolverà in un grande sperpero,
perché beltà che si muoia di fame
per causa della stessa sua astinenza
preclude alla beltà ogni speranza
di riprodursi. Oh, ella è troppo bella
e saggia, troppo saggiamente bella
per meritarsi la beatitudine
gettando me nella disperazione!
S'è votata a non mai innamorarsi,
ed io per causa di questo voto
vivo, ma sono morto;
son vivo sol per dirti che son morto.

BENVOLIO - Dammi retta, non ci pensare più.

ROMEO - Oh, insegnalo tu alla mia mente
come può trattenersi dal pensare!

BENVOLIO - Restituendo libertà ai tuoi occhi;
volgendoli a mirare altre bellezze.

ROMEO - Sarebbe come richiamar di più
in causa quella sua, così squisita.
Quelle nere felici mascherine
che baciano la fronte a belle dame
danno agli sguardi nostri l'illusione
che dietro quella loro nera sagoma
ci celino chissà quali bellezze.
Chi è colpito da cecità improvvisa
non può dimenticar senza dolore
il perduto tesoro della vista.
Mettimi avanti agli occhi una bellezza
quanto tu vuoi perfetta:
agli occhi miei sarà soltanto un foglio
su cui leggerò il nome di colei
ch'è ancor più bella. No, cugino, no,
tu non sarai capace d'insegnarmi
a non pensar più a lei. Addio, Benvolio.

BENVOLIO - Eppure io t'insegnerò quest'arte,
o morirò con la coscienza in debito.

(Escono)

SCENA II - Verona, una via

Entra il vecchio CAPULETI, PARIDE e un SERVO

CAPULETI - Il Montecchi ha sul capo, come me,
la minaccia dall'alto d'un castigo;
anziani come siamo, tra noi due
non dovrebbe perciò esser difficile
trovare il modo di vivere in pace.

PARIDE - D'un'onorevole reputazione
siete entrambi. E davvero è gran peccato
che abbiate seguitato tanto a lungo
a vivere in codesta inimicizia...
Ma, signore, di grazia,
quale risposta date alla mia offerta?

CAPULETI - Non posso che ripetervi il già detto:
la mia figliola è ancora nuova al mondo,
non ha compiuti i suoi quattordici anni;
lasciamo ancora che appassisca in lei
il rigoglio di altre due estati,
prima che la si possa dir matura
per essere una sposa.

PARIDE - Fanciulle ancor più giovani di lei
son diventate già madri felici.

CAPULETI - Quelle che vanno spose tanto presto
sono votate a perdere anche presto
il frescor giovanile. Caro Paride,
la terra s'è inghiottita fino ad oggi
tutte le mie speranze,
l'ultima è lei... Intanto corteggiatela,
e cercate di conquistarne il cuore.
Il solo mio volere
non è che parte del suo gradimento:
s'ella v'è consenziente, il mio consenso
e la voce che molto cordialmente
l'accorderà si troveranno insieme
nel raggio della sua spontanea scelta.
Questa sera terrò qui in casa mia,
com'è vetusta usanza di famiglia,
un festino; e ad esso ho convitato

un certo numero di buoni amici;
ci sarete anche voi, gradito ospite.
Ebbene, sotto il mio modesto tetto
questa notte potrete contemplare
stelle che solcano le vie terrene
illuminando il buio della notte.
E potrete godere in casa mia
in mezzo a freschi bocciòli di femmine
il piacere che è dato di gustare
a lieta giovinezza, quando Aprile,
vestito già della sua gaia veste,
è alle calcagna degli ultimi sprazzi
del zoppicante e freddoloso inverno.
Potrete intrattenervi con ciascuna,
tutte osservarle, e far la vostra scelta
su quella che, secondo il vostro gusto,
per merito sovrasti tutte l'altre.
Riguardandole meglio tutte quante,
la mia può star nel novero a far numero,
ma nel merito è priva d'ogni pregio.
Su, venite con me.

(Al Servo)
E tu, compare,
mettiti in giro, senza perder tempo,
per le belle contrade di Verona
e vammi alla ricerca della gente
il cui nome è segnato in questa lista;
farai sapere a ciascuno di loro
che la mia casa ed il mio benvenuto
attendono la loro compiacenza.

(Escono il vecchio Capuleti e Paride)

SERVO Andare a ricercar tutta la gente
il cui nome è segnato in questa lista...
Sta scritto, in verità, che il calzolaio
deve sapere trafficar col metro,
il sarto con la forma delle scarpe,
il pescatore con tinte e pennelli,
il pittore con l'amo; e così io:
ecco che mi si manda a ricercare
gente il cui nome è scritto in questo foglio,
quando non so nemmeno quali nomi
v'ha scritto chi l'ha scritto,

per via che non ho mai imparato a leggere.
Mi ci vuole qualcuno ch'è istruito.
Eccolo, infatti, pare, ed a buon punto.

Entrano BENVOLIO e ROMEO

BENVOLIO - Fuoco consuma fuoco, caro mio.
Il dolore degli altri scema il tuo.
Se a ruotare in un senso
ti viene il capogiro, va all'inverso
sempre girando, e vedrai che ti passa.
Disperato dolor trova sua cura
nell'altrui pena. Date un nuovo tossico
all'occhio infetto, ed il tossico vecchio
cesserà dal produrre altra infezione.

ROMEO - Eh, già, pure la foglia di piantaggine
è un buon rimedio.

BENVOLIO - Rimedio a che cosa?

ROMEO - Al tuo stinco, dovessi mai spezzartelo.

BENVOLIO - Ma che dici, sei matto?

ROMEO - Matto, no,
ma come un matto incatenato, sì,
stretto, in prigione, privato del cibo,
frustrato, tormentato...

(Vede il Servo dei Capuleti)
Olà, buon uomo,
buona giornata a te.

SERVO - E buona pure a voi la faccia Iddio.
Di grazia, signor mio, sapete leggere?

ROMEO - Sì, la mia malasorte
nel grande libro della mia miseria.

SERVO - Magari questo pure senza libro
l'avrete appreso... Ma sapete leggere
tutto quel che vi viene sotto gli occhi?

ROMEO - Sì, certo, se conosco l'alfabeto
e la lingua nei quali è stato scritto.

SERVO - Questo è parlare da persona onesta.
Allora state allegro. Vi saluto.

ROMEO - No, resta, amico, questo lo so leggere.

(Gli prende dalle mani il foglio e legge)
"Signor Martino, con signora e figlie;
"Conte Anselmo e vezzose sue sorelle;
"la bella dama vedova Vitruvio;
"signor Piacenzio e graziose nipoti;
"zio Capuleti con signora e figli;
"la mia bella nipote Rosalina;
"Livia; il signor Valenzio e suo cugino;
"Tebaldo; Lucio e la briosa Elena".
Una bella brigata. E dove vanno?

SERVO - Su.

ROMEO - Dove, su?

SERVO - Di sopra, a casa nostra.

ROMEO - Nella casa di chi?

SERVO - Del mio padrone.

ROMEO - Già, te l'avrei dovuto chieder prima.

SERVO - Senza che lo chiediate, ve lo dico:
il mio padrone è il ricco Capuleti;
e se non siete di casa Montecchi
potete favorire pure voi
a bere un goccio. State allegro, addio.

(Esce)

BENVOLIO - A codesto festino,
che i Capuleti danno tutti gli anni
per un'antica usanza di famiglia,
va a cenare la bella Rosalina,
la tua passione, insieme alle più belle
e le più vagheggiate di Verona.
Andiamoci, e là dentro potrai fare,
con occhio spassionato il paragone
tra l'aspetto di lei e di qualcuna

che io t'indicherò; e ci scommetto
che al paragone il tuo leggiadro cigno
ti sembrerà una povera cornacchia.

ROMEO - Se la pia devozione del mio occhio
dovesse indurmi a proclamare vera
una tal madornale falsità,
che le mie lacrime si faccian fiamme,
e, come eretiche all'autodafé,
brucino queste loro trasparenze
che, tante volte annegate nel pianto,
mai furono capaci di morire!
Una più bella dell'amore mio?...
Sulla terra l'onniveggente sole
da quando questo mondo ebbe principio
non vide donna che le stesse a pari.

BENVOLIO - Eh, tu l'hai sempre vista tanto bella
perché non l'hai mai vista insieme ad altre,
e sopra la bilancia dei tuoi occhi
s'è controbilanciata da se stessa.
Ma nelle tue bilance di cristallo
se metti sopra un piatto la tua donna
e sopra un altro alcun'altra di quelle
che vedrai splendere a questo festino,
colei ch'ora ti sembra la più bella
ti parrà appena degna d'attenzione.

ROMEO - Verrò con te alla festa,
non per vedere queste tue beltà,
ma solo per bearmi a contemplare
il fulgore di quella che so io.

(Escono)

SCENA III - Verona, una stanza in casa Capuleti

Entrano MONNA CAPULETI e la NUTRICE

MONNA CAPULETI - Balia, dov'è mia figlia?
Cercala e dille di venir da me.

NUTRICE - Gliel'ho già detto di venire, diamine!,
quant'è vero, signora, ch'ero vergine
a dodici anni...

(Chiamando)

Ebbene, farfalletta!...
Agnellino!... Ma dove s'è cacciata?
Dio ne guardi! Dov'è questa figliola?
Giulietta, dove sei?

GIULIETTA - (Da dentro)
Che c'è? Chi chiama?

NUTRICE - Tua madre.

GIULIETTA - (Entrando)
Sono qua, signora madre.
Desiderate?

MONNA CAPULETI - Ebbene, ho da parlarti.
Nutrice, lasciaci sole un momento.
Abbiamo da discorrere in segreto.
Anzi, no... resta... Adesso che ci penso,
nutrice, è meglio che tu sia presente.
Tu sai la bella età di questa figlia.

NUTRICE - Come no: ve la posso precisare
senza sbagliare nemmeno di un'ora.

MONNA CAPULETI - È vicina ai quattordici.

NUTRICE - Quattordici,
ci scommetto quattordici miei denti
- anche se, a mio dolore, devo ammettere
che me ne son rimasti solo quattro - ancora non li compie: il primo agosto.
Quanto manca da oggi al primo agosto?

MONNA CAPULETI - Due settimane, o qualcosa di più.

NUTRICE - Sia più sia meno, quando il primo agosto
verrà sul calendario, quella notte
Giulietta compirà quattordici anni.
Susanna mia e lei - conceda Iddio
la pace a tutte l'anime cristiane - erano d'una età. Susanna mia
ora è con Dio (per me era troppo buona),
ma la notte davanti al primo agosto
Giulietta compirà quattordici anni.
Me lo ricordo bene, per la Vergine!
Sono undici anni dal gran terremoto;

e fu quel giorno che la divezzai:
me lo ricordo come fosse adesso.
M'ero cosparsa d'assenzio i capezzoli,
e me ne stavo ben seduta al sole
poggiata al muro della colombaia.
Voi eravate col padrone a Mantova
(eh, la testa mi serve ancora bene!)
ma, dicevo, quand'ella assaporò
l'amaro dell'assenzio sul capezzolo,
bisognava veder la pazzerella
quante bizze mi fece con la poppa!
Fu in quel momento che la colombaia
si scosse tutta, come a dirmi: "Muoviti!";
ma non fu necessario, v'assicuro,
che alcuno m'imponesse di scappare.
Da allora son passati undici anni,
perché lei si reggeva già da sola,
anzi, che dico, Croce del Signore,
correva e zampettava dappertutto...
Infatti il giorno prima, nel cadere,
s'era fatta un bel bozzo sulla fronte
e mio marito (che Dio l'abbia in pace:
quello era veramente un cuorcontento!)
nel sollevarla e mettersela in collo,
"Che fai - disse - mi caschi ventre a terra?
Va là che quando avrai messo giudizio,
ti piacerà di cadere all'indietro,
vero, Giulietta?"... E quella birichina,
perbacco, smise di piagnucolare
e disse: "Sì". Ma guarda un po', alle volte,
come uno scherzo ti viene a pennello!
Per me, dovessi campare mill'anni,
non potrò mai scordare quella scena...
"Vero, Giulietta?" - le domanda lui
e quella pazzerella, all'improvviso,
smette di piangere e risponde: "Sì"!

MONNA CAPULETI - Sì, però basta, adesso; fa' silenzio.

NUTRICE - Sì, signora, sto zitta ed in silenzio...
E tuttavia mi viene ancor da ridere
se ripenso al momento in cui, di colpo,
smise di piangere per dire: "Sì";
e aveva in fronte, v'assicuro, un bozzo
grosso come un fagiolo di galletto:
un brutto colpo, e lei piangeva forte.
"Come! Mi cadi con la pancia in giù?
- fa mia marito - Quando sarai grande
saprai bene cadere pancia in su,
vero, Giulietta?". E quella, all'improvviso,
si calma tutta e gli risponde: "Sì".

GIULIETTA - Bene. Però, ti prego, ora, Nutrice,
di calmarti anche tu.

NUTRICE - Basta, ho finito.
Giulietta, che il Signore t'abbia in grazia,
tu sei stata la bimba più graziosa
ch'io abbia avuta attaccata alle poppe.
Vivessi tanto da vederti sposa,
non avrei più alcun altro desiderio.

MONNA CAPULETI - Venivo appunto a toccar, per la Vergine,
questo argomento: come maritarla.
Giulietta, figlia mia, dimmi, che pensi
riguardo al fatto di prender marito?

GIULIETTA - È un onore che io nemmeno sogno.

NUTRICE - Ecco, appunto, un onore, hai detto bene!
Non fossi stata solo la tua balia,
direi che insieme al latte della poppa
hai succhiato da me pure il giudizio.

MONNA CAPULETI - Eppure è giunto il tempo, figlia mia,
che pensi a maritarti. Qui a Verona,
ragazze d'ottima reputazione
più giovani di te, sono già madri;
io stessa, all'età tua, se ben ricordo,
ero tua madre già, quando tu, invece,
pensi d'essere ancora una bambina.
A farla breve: c'è il nobile Paride
che ci ha testé richiesta la tua mano.

NUTRICE - Che uomo, quello là, ragazza mia!
Uno che tutto il mondo... così bello,
che pare un figurino!

MONNA CAPULETI - Un più bel fiore
non produce l'estate di Verona.

NUTRICE - È vero: un fiore d'uomo, proprio un fiore!

MONNA CAPULETI - (A Giulietta)
Che dici: senti di poterlo amare
quel gentiluomo? Lo vedrai stanotte,
alla festa, da noi: cerca di leggere

quel ch'è scritto nel libro del suo volto,
e scopri in esso tutta la delizia
che la bellezza ha scritto di sua mano;
osserva come tutti i lineamenti
sono armonicamente coniugati
sì che ciascuno presta gioia all'altro;
e tutto quel che in questo bel volume
ti rimanesse oscuro, puoi trovarlo
negli occhi suoi, come una "nota a margine".
Questo prezioso volume d'amore,
questo amatore ancora non legato,
ha sol bisogno d'una legatura
per diventare ancora più leggiadro.
Il pesce vive in mare; il mare è bello;
ed è assai merito del bello esterno
far risaltare il bello che sta dentro.
Il libro che contiene un'aurea storia
e la tien chiusa con fermagli d'oro
rende partecipe del suo splendore
più d'un occhio. Se tu lo farai tuo,
sarai partecipe d'un tal possesso,
senza, per ciò, diminuir te stessa.

NUTRICE - Diminuir se stessa? Ma che dite!
Ingrossarsi, piuttosto: accanto agli uomini
le femmine diventano più grosse!

MONNA CAPULETI - Insomma, figlia mia, a parlar corto:
ti senti, o no, di poter corrispondere
sinceramente all'amore di Paride?

GIULIETTA - Vedrò di farmelo piacere, madre,
se vedere può suscitar piacere;
ma non spingerò l'occhio
più in là di quanto il vostro buon consenso
non dia loro il permesso di volare.

Entra un SERVO

SERVO - Signora, sono giunti gli invitati,
il desinare è in tavola,
chiedon di voi e di madamigella,
reclamata a gran voce è la Nutrice
dalla dispensa. Noi siamo agli estremi.
Io debbo ritornar di là a servire.
Vi scongiuro, seguitemi. Ma presto!

(Esce il Servo)

MONNA CAPULETI - Ti seguiamo. Giulietta, il Conte aspetta.

NUTRICE - Va', figliola, e fa' in modo che s'aggiungano
felici notti ai tuoi felici giorni.

(Escono)

SCENA IV - Verona, una strada

Entrano ROMEO, MERCUZIO, BENVOLIO, con altri cinque o sei, tutti mascherati, alcuni con torce. ROMEO è mascherato da pellegrino

ROMEO - Allora, s'ha da far questo discorso
di scuse, o s'entra senza chieder scusa?

BENVOLIO - Certe prolissità son fuori moda.
Non c'è nessun Cupido in mezzo a noi,
con sciarpa a mo' di benda agli occhi ed arco
di legno tinto alla maniera tartara
da mettere paura alle signore
come se fosse uno spaventapasseri;
né noi si vuole entrare recitando
timidamente, col suggeritore,
un prologo mandato appena a mente.
Usino pure, a giudicar di noi,
la misura che farà lor più comodo;
noi ci limiteremo a misurare
quattro passi di danza, e ce ne andiamo.

ROMEO - A me date una torcia, niente danze:
non son fatto per simili volteggi.
Col buio dentro, porto almeno un lume.

MERCUZIO - No, no, devi ballare, caro mio.

ROMEO - Ah, questo no, credetemi, non posso.
Voi avete scarpini adatti al ballo
dotati di solette leggerissime;
io porto invece un'anima di piombo
che mi tiene così inchiodato a terra,
da impedirmi di fare alcuna mossa.

MERCUZIO - Dal momento che sei innamorato,
fatti prestare l'ali da Cupido,
e vola sopra la comune altezza.

ROMEO - Le ferite prodotte dal suo strale
sono troppo impietose per librarmi
a volo sulle sue penne leggere;
e mi trovo sì stretto dai suoi lacci,
da non poter levarmi un solo palmo
al disopra del mio male d'amore:
e affondo sotto il suo grave fardello.

MERCUZIO - Però per annegarti nell'amore
dovresti caricarlo del tuo peso:
un po' troppo, direi,
per una coserella tanto tenera.

ROMEO - Che! L'amore una coserella tenera?
Più ruvida, più aspra, più violenta
non ce n'è alcuna... E punge come spina.

MERCUZIO - Se l'amore è sì ruvido con te
siilo tu altrettanto con l'amore,
e rendigli puntura per puntura:
alla fine vedrai che l'avrai vinta...
Basta, datemi adesso un qualche astuccio
dove poter nascondere la faccia.
(Mettendosi la maschera)
Ecco: una maschera su un'altra maschera.
Che importa adesso se un occhio indiscreto
scopre che sono brutto? Sul mio viso
c'è questo brutto ceffo ringrugnito
che arrossirà per me.

BENVOLIO - Su, bussa ed entra;
e appena dentro, forza con le gambe.

ROMEO - Allora me la date questa torcia?
Lascio agli spensierati gingilloni
di titillare coi loro calcagni
le insensibili stuoie; quanto a me,
mi sto col vecchio proverbio del nonno:
"Reggo il moccolo e me ne sto a guardare;
"la selvaggina mai fu così bella,
"ma la caccia per me è ormai finita".

MERCUZIO - Toh, sentitelo! "Il sorcio s'è infognato",
come direbbe il capo degli sbirri.
Ma se pure ti fossi impantanato
fino agli orecchi, penseremo noi
a trarti fuori da cotesta melma,
o, a dirla con rispetto, dall'amore.
Andiamo, decidiamoci, se no,
queste torce faranno luce al giorno.

ROMEO - Esagerato!

MERCUZIO - Esagerato un corno!
Dico che a stare a traccheggiar qui fuori,
noi sprechiamo le luci delle fiaccole
come a tenerle accese in pieno giorno.
Cerca di prendere nel senso buono
quel che diciamo, ché il pensare nostro
ha fatto stanza almeno cinque volte
nella buona intenzione di noi tutti,
prima di star per una volta sola
in ciascuno dei nostri cinque sensi.

ROMEO - L'intenzione d'andare a questa festa
è buona, ma non è da senno andarci.

MERCUZIO - E perché mai?

ROMEO - Stanotte ho fatto un sogno.

MERCUZIO - Anch'io.

ROMEO - Davvero. E che cosa hai sognato?

MERCUZIO - Che quei che sognano spesso soggiacciono...

ROMEO - Che soggiacciono! Giacciono. A dormire.
Sognando cose vere.

MERCUZIO - Ah, ho capito:
da te c'è stata la regina Mab.

ROMEO - Regina Mab? Chi diavolo è costei?

MERCUZIO - La mammana del regno delle fate;
e si presenta sempre in una forma
non più grossa d'una pietruzza d'agata
al dito indice di un assessore;
viaggia su un equipaggio trainato
da una muta di piccoli esserini,
e si posa sul naso di chi dorme;
i raggi delle ruote di quel traino
sono formati da zampe di ragno,
il mantice dall'ali di locuste,
le briglie da sottili filamenti
d'esili ragnatele; i pettorali
dai rugiadosi raggi della luna;
la frusta ha il manico d'osso di grillo
e la sferza d'un filo sottilissimo;
il cocchiere, a cassetta, è un moscerino
tutto grigio-vestito, non più grande
della metà d'uno di quei vermetti
che si tolgono fuori con lo spillo
dal dito d'una pigra fanciulletta;
il cocchio è un guscio cavo di nocciola
lavorato così da uno scoiattolo
falegname o da qualche vecchio tarlo;
son essi i carrozzieri delle fate
l'uno e l'altro, da tempo immemorabile.
In questo arnese, Mab va cavalcando,
la notte, pei cervelli degli amanti,
e allora questi sognano d'amore;
o per le rotule dei cortigiani

che sognan subito salamelecchi;
o sulle dita d'uomini di legge
che sognan subito laute parcelle;
talvolta sulle labbra delle dame,
e queste sognano d'esser baciate,
e spesso sulle loro labbra Mab
irritata dai loro fiati guasti
pei troppi dolci, lascia delle pustole.
Talvolta anche galoppa su pel naso
d'un sollecitatore di favori
a pagamento, e quello, allora, in sogno,
sente l'odore d'una petizione;
talvolta va a solleticare il naso
col crine d'un porcello della decima,
ad un prevosto e quello allora sogna
un altro benefizio parrocchiale.
Talora passa con il suo equipaggio
sul collo d'un soldato militare,
e allora questi sogna a tutto spiano
di tagliar gargarozzi di nemici,
brecce, imboscate, lame di Toledo,
brindisi con bicchieri senza fondo;
poi, d'improvviso, gli rulla all'orecchio
il tamburo e lui salta su di botto,
si sveglia, e dopo avere smoccolato
per la paura un paio di bestemmie,
se ne ricade giù, morto di sonno.
È quella stessa Mab che nella notte
intreccia le criniere dei cavalli
e fa dei loro crini sbarruffati,
unti e bisunti, dei magici nodi
che a districarli portano disgrazia.
È lei la maga che quando le vergini
giacciono a letto con la pancia all'aria,
le preme perché imparino a "portare"
e le fa donne di "buon portamento".
È lei che...

ROMEO - Basta, via, Mercuzio, basta!
Stai parlando del nulla!

MERCUZIO - Sì, di sogni,
che sono i figli d'un cervello pigro,
fatti solo di vana fantasia,
che sono inconsistenti come l'aria,
più incostanti del vento, che ora scherza
col grembo gelido del settentrione,
ed ora, all'improvviso, in tutta furia,
se ne va via sbuffando e volge il volto
alle stillanti rugiade del sud.

BENVOLIO - Ho paura che il sogno di cui parli
ci stia soffiando fuori di noi stessi:
perché la cena dev'esser finita,
e noi arriveremo troppo tardi.

ROMEO - Temo invece che sarà troppo presto;
perché il mio spirito mi fa presago
di eventi ancor sospesi nelle stelle
che avranno il lor funesto appuntamento
in questa festa, e segneranno il termine
d'una vita spregiata, com'è quella
ch'io chiudo in petto, e che un crudel destino
sembra aver condannato fin da ora
ad immatura ed impietosa morte.
Ma Colui che governa la mia rotta
da nocchiero, diriga la mia vela.
Avanti, allegramente!

BENVOLIO - Via il tamburo!

(Escono)

SCENA V - Verona, la casa dei Capuleti

Musici che attendono
Entrano alcuni SERVI di mensa

1° SERVO - Dov'è andato Pignatta?
Che sta a fare, che non ci dà una mano
a sparecchiar la tavola?... Già, lui,
sostituire un piatto... Non sia mai!
Lui grattare un tagliere... Non sia mai!

2° SERVO - Quando la pulizia deve risiedere
nelle mani di una persona o due
che per giunta non se le son lavate,
è una schifezza!

1° SERVO - Via quegli sgabelli!
Quella credenza spostala di là.
Bada all'argenteria...
E tu, sii bravo, mettimi da parte
un pezzettino di quel marzapane;
e, se non ti dispiace, di' al portiere
che mandi su Susanna Mola e Nelly.
Ehi, Antonio, Pignatta!

3° SERVO - Eccoci pronti.

1° SERVO - Pignatta, in sala chiedono di te,
tutti ti cercano, tutti ti vogliono,
sei la persona più desiderata!

3° SERVO - Non si può star di qua e di là ad un tempo.

2° SERVO - Fate cuore, ragazzi! State allegri!
Chi campa più di tutti, piglia tutto!

(Si ritirano nel fondo)

Entrano, da una parte, il CAPULETO, con GIULIETTA, TEBALDO e la NUTRICE, e si fanno incontro agli invitati, che entrano dalla parte opposta

CAPULETO - Signori, benvenuti in casa mia!
Le dame senza calli ai lor piedini
faranno un giro di danza con noi.
Ah, ah, mie belle dame, e chi di voi
si potrà rifiutare di ballare?
Giuro che quella che fa la ritrosa
qualche calletto ai piedi deve averlo.
Ci ho colto bene, vero?... Avanti, avanti!
Benvenuti! Ho conosciuto anch'io
il tempo quando nascondevo il viso
dietro lo schermo d'una mascherina,
e sussurravo a qualche bella dama,
all'orecchio, galanti paroline...
Ma quel tempo è lontano, strapassato.
Voi siete i benvenuti, miei signori!
Andiamo, suonatori, un po' di musica.

(Musica e danza)

Sala, sala, signori! Fate largo!
E voi, ragazze, via coi vostri passi!

(Ai servi)
Più luce, giovanotti!... Via quei tavoli,
e andate a spegnere il fuoco al camino,
che l'aria è divenuta troppo calda.
Ma bravi, questa festa improvvisata
sta riuscendo bene... Vieni, siedi,
siediti qua, cugino Capuleti;
per me e per te la stagione del ballo
è passata da un pezzo. Quanto tempo
da che ci siamo ritrovati insieme
l'ultima volta ad una mascherata?

SECONDO CAPULETI - Madonna Santa! Saranno trent'anni.

CAPULETO - Che dici! No, non mi pare poi tanto!
Dal giorno delle nozze di Lucenzio.
Alta o bassa che venga Pentecoste
(in quel giorno ci siamo mascherati)
saranno tutt'al più venticinqu'anni.

SECONDO CAPULETI - Di più, di più: ne ha già di più suo figlio,
che sta sui trenta.

CAPULETO - Che mi vai contando!
Se si trovava ancor sotto tutela
due anni fa...

ROMEO - (A un servo, indicando Giulietta)
Chi è quella damina
laggiù, che con il tocco di sua mano
fa ricca quella del suo cavaliere?

SERVO - Mi dispiace, signore, non lo so.

(Si allontana il servo)

ROMEO - Oh, ch'ella insegna perfino alle torce
come splendere di più viva luce!
Par che sul buio volto della notte
ella brilli come una gemma rara
pendente dall'orecchio d'una Etiope.
Bellezza troppo ricca per usarne,
troppo cara e preziosa per la terra!
Ella spicca fra queste sue compagne
come spicca una nivea colomba
in mezzo ad uno stormo di cornacchie.
Finito questo ballo,
osserverò dove s'andrà a posare
e, toccando la sua, farò beata
questa mia rozza mano...
Ha mai amato il mio cuore finora?...
Se dice sì, occhi miei, sbugiardatelo,
perch'io non ho mai visto
vera beltà prima di questa notte.

(Romeo, pur parlando a se stesso, ha parlato a voce alta e Tebaldo, passandogli vicino, l'ha sentito)

TEBALDO - Alla voce, costui pare un Montecchi.
Non mi sbaglio.
(Ad un servo)
Ragazzo, la mia spada!
Come! Il furfante ardisce venir qui,
coperto da una maschera grottesca,
a farsi beffa della nostra festa?
Ebbene, per l'amore del mio sangue
e per l'onore della mia famiglia,
non credo di commettere peccato
a stenderlo qui morto, con un colpo.

CAPULETO - Che c'è che t'agita tanto, nipote?

TEBALDO - Questi è un Montecchi, zio, nostro nemico;
un furfante, venuto qui a dispetto,
per beffarsi di questa nostra festa.

CAPULETO - Il giovane Romeo?

TEBALDO - Sì, proprio lui,
quel furfante del giovane Romeo.

CAPULETO - Calma, nipote mio. Lascialo stare.
Si conduce da vero gentiluomo;
e, per vero, Verona vanta in lui
un giovane virtuoso e di bei modi;
né io permetterei che in casa mia,
per tutto l'oro di questa città,
gli sia recata alcuna umiliazione.
Perciò sta' calmo. Non te ne occupare.
È un ordine, e se tu vuoi rispettarlo,
fa' buona cera, smetti l'aria truce,
che non s'addice proprio ad una festa.

TEBALDO - S'addice, invece, eccome,
quando tra gli ospiti c'è un tal furfante!
Non lo sopporto.

CAPULETO - E devi sopportarlo,
invece, giovanotto! Devi, ho detto!
Chi è il padrone, qui, sei tu o io?
Non lo sopporta, lui!... Ti guardi Iddio
dal creare una rissa tra i miei ospiti!
Vuole alzare la cresta, come il gallo!
Vuol far, come si dice, la bravata!

TEBALDO - Ma, zio, è una vergogna!

CAPULETO - Ovvia! Ovvia!
Ragazzo prepotente! E che! Scherziamo?
È uno scherzo che può costarti caro.
So quel che dico: tu vuoi contrariarmi.
Hai scelto proprio il momento, perdio!

(Ai danzatori)
Bene, bravi figlioli!...

(A Tebaldo)
Un insolente,
ecco che cosa sei. Va' e sta' buono,
altrimenti...
(Ai servi)
Più luce, fate luce...
(A Tebaldo)
E vergognati: e se non fai giudizio,
bada che son qua io...

(Ai danzatori)
Su, su, ragazzi,
qui ci vuole un po' più d'animazione!

TEBALDO - Questa pazienza imposta con la forza,
che si scontra con l'ira più sfrenata,
mi fa fremere tutto. Me ne vado.
Però questa sfacciata intromissione
che par che attiri qui tanta dolcezza
si muterà in amarissimo fiele!

(Esce)

ROMEO - (A Giulietta, prendendole la mano)
Se con indegna mano
profano questa tua santa reliquia
(è il peccato di tutti i cuori pii),
queste mie labbra, piene di rossore,
al pari di contriti pellegrini,
son pronte a render morbido quel tocco
con un tenero bacio.

GIULIETTA - Pellegrino,
alla tua mano tu fai troppo torto,
ché nel gesto gentile essa ha mostrato
la buona devozione che si deve.
Anche i santi hanno mani, e i pellegrini
le possono toccare, e palma a palma
è il modo di baciar dei pii palmieri.

ROMEO - Santi e palmieri non han dunque labbra?

GIULIETTA - Sì, pellegrino, ma quelle son labbra
ch'essi debbono usar per la preghiera.

ROMEO - E allora, cara santa, che le labbra
facciano anch'esse quel che fan le mani:
esse sono in preghiera innanzi a te,
ascoltale, se non vuoi che la fede
volga in disperazione.

GIULIETTA - I santi, pur se accolgono
i voti di chi prega, non si muovono.

ROMEO - E allora non ti muovere
fin ch'io raccolga dalle labbra tue
l'accoglimento della mia preghiera.

(La bacia)

Ecco, dalle tue labbra ora le mie
purgate son così del lor peccato.

GIULIETTA - Ma allora sulle mie resta il peccato
di cui si son purgate quelle tue!

ROMEO - O colpa dolcemente rinfacciata!
Il mio peccato succhiato da te!
E rendimelo, allora, il mio peccato.

(La bacia ancora)

GIULIETTA - Sai baciare nel più perfetto stile.

NUTRICE - (È stata ad osservare da lontano, poi s'avvicina)
Tua madre vuol parlarti, padroncina.

ROMEO - Chi è sua madre?

NUTRICE - Ebbene, giovanotto,
è la padrona qui di questa casa;
una buona signora, saggia e onesta;
e la figliola, quella damigella
con cui discorrevate poco fa,
gliel'ho allattata ed allevata io.
E quell'uomo che saprà fare tanto
da prenderla per moglie, giuraddio,
ne avrà dei bei sonanti quattrinelli!

(Si allontana con Giulietta)

ROMEO - (Tra sé)
Ella è una Capuleti!... Ah, duro prezzo
ch'io sarò tratto a pagare per questo!
Do in pegno la mia vita a una nemica!

BENVOLIO - Usciamo, adesso, via!
Il meglio della festa l'abbiam visto.

ROMEO - Ho paura che sia proprio così.
Più stiamo e più ne va della mia pace.

CAPULETO - No, no, signori miei, non ve ne andate!
Abbiamo preparato uno spuntino
per stare ancora un poco in allegria...
Volete proprio andare?... Grazie a tutti,
allora, grazie, nobili signori,
e buona notte.
(Ai servi)
Recate altre torce!
Allora andiamo, si va tutti a letto.
Oh, perbacco, s'è fatto molto tardi!
Me ne vado a dormire dritto dritto.

(Escono tutti tranne GIULIETTA e la NUTRICE)

GIULIETTA - (Indicando uno degli ospiti che sta uscendo)
Vien qua, nutrice. Chi è quel signore?

NUTRICE - È il figlio erede del vecchio Tiberio.

GIULIETTA - E l'altro che sta uscendo dalla porta?

NUTRICE - Mi sembra... sì, è il giovane Petruccio.

GIULIETTA - E quell'altro che esce dietro a lui,
e non ha mai ballato?

NUTRICE - Non lo so.

GIULIETTA - Va' a domandargli il nome. Se è sposato,
la tomba sarà il mio letto di nozze.

NUTRICE - Il suo nome è Romeo, ed è un Montecchi,
unico figlio del più gran nemico
di tua famiglia.

GIULIETTA - O unico mio amore,
scaturito dall'unico mio odio!
O sconosciuto, troppo presto visto
e troppo tardi, ahimè, riconosciuto
per quel che eri. O amore prodigioso,
ch'io debba amare un odiato nemico!

NUTRICE - Che è? Che vai dicendo?

GIULIETTA - Nulla, nulla.
Son versi da me appresi poco fa
da uno che ballava insieme a me.

VOCE DI DENTRO - Giulietta!

NUTRICE - Ecco, veniamo. Su, Giulietta.
A nanna. Sono andati tutti via.

(Escono)

Alta danza

Povera donna

La Danse de l’Argia

Posted on: 7:20 am, June 21, 2008
Hello
I am going to Sardina and I have heard that there is a certain insect called the Argia Spider. I am just wondering if it can do anything do you e.g. bites, poison actions etc.
Also if there is any other insects I would like to hear about these.
Also is there anyway I can stop these insects.
If you need to know I am near the sea of Alghero.
Thank you.
DancingPinguin
from Scotland


Posted on: 7:38 am, June 21, 2008
Seriously, you're worrying about nothing. I think there a few things that have got confused. There *are* spiders that bite in Sardinia and Southern Italy, but they're not particularly common and - unless you happen to be unusually allergic to them, the way some people are with bee stings, for instance - even if you DO get bitten (HIGHLY unlikely), it won't do you any more harm than a mosquito bite. If you're picturing a big furry tarantula thing, you're a long way off! I think they're bigger than your average British house spider, but they're not huge. And in any case, they live mostly out in the fields and the countryside - if you're in Alghero you're not likely to see one, let alone get bitten by one. House spiders in Britain can bite, by the way. Interesting, no? ;)

As far as I know, the 'argia' thing is largely mythical. I don't know if you're familiar with the 'tarantella' - it's a folk dance in southern Italy that's supposedly the dance of a person bitten by a spider (I think the idea is that you have to 'dance the poison out' of your body, or some such). I *think* the argia is sort of the Sardinian equivalent, from what I understand from a friend of mine. I don't think there's an actual beastie called an 'argia', or maybe it's just the local word for a spider. In any case you don't need to go prepared to fight the evil 'argia spider'! Just take some antihistamine cream or something, which you should do anyway for insect bites etc.

Other insects? (On pedantic mode, a spider is not an insect). Nothing worth worrying about. Bigger bees and wasps than you're used to, possibly. More mosquitos, probably. Cicadas, different species of beetle... the usual southern European array of pretty harmless insects.
Vicki2005
from Cambridge

Posted on: 8:31 am, June 22, 2008
Argia is not a mythical insect, it really exists. It's a spider belonging to the same family of the black widow but much much smaller. It's very RARE, consider that i live here since 36 years and i have NEVER seen one of them though i do a lot of outdoor. I remember only one case of a boy who was hurt by this spider and needed hospital cure. I suppose that the poison of this spider is not so much as to create a real problem to more than a small body.
Animalonga
from Capoterra


Posted on: 8:57 am, June 22, 2008
Thanks for your reply.
I have a teenage son aged 14 and another son aged 16 will they have to be hospitalized?
Thanks
Penguin


Posted on: 9:23 am, June 22, 2008 Save
Seriously, you need to stop panicking. Did you actually read that previous reply? He's never seen one in all the years he's lived there, and knows of *one* case (and I'd be interested to know how they know that that one case was definitely a bite from this 'argia' spider - and for all we know the boy might have had an unusual allergic reaction, not just been 'poisoned'). Do you know how many people are hospitalised as a result of bee stings in this country? A damn sight more than that. So please, chill out, for god's sake, or your highest chance of being hospitalised is going to be from a panic attack when you see a common house spider.

It sounds to me a lot like the southern Italian "tarantula" - which is not really a tarantula in the true sense (not the big furry Mexican beastie with orange stripes!) but probably a wolf spider or perhaps (and this, I think, might be where our 'argia' friend comes in) a "Mediterranean Black Widow". Yes, they bite. Yes, they hurt, and if you're unlucky, then yes, you might have to go to hospital. But seriously. You're NOT going to see one, even if you were planning on cartwheeling through the fields, your chances of seeing one would be pretty damn slim. They don't hunt human flesh, you know
Vicki2005
from Cambridge

La Suisse chemin faisant

Randonnée

Le G R 20 La traversée de la Corse


Il fait rêver tous les amateurs de marche, il est gravé dans la mémoire de ceux qui ont osé l'arpenter et il est même la vedette du film les Randonneurs... Bref, le GR 20 est un chemin mythique. Ce sentier d'altitude qui traverse la Corse du Nord au Sud est réputé pour être le plus difficile d'Europe mais aussi l'un des plus beaux : 200 km d'émerveillements et de souffrances réservés aux randonneurs expérimentés.

Ce fleuron de la montagne Corse passe par certains des plus hauts sommets de l'île. C'est l'occasion de profiter de paysages alpins fabuleux. Au coeur d'une nature sauvage, vous traverserez de minuscules villages et découvrirez la faune abondante du Parc naturel régional de Corse. Méfiez vous toutefois des cochons sauvages qui adorent manger les tissus et les victuailles des randonneurs.

Si vous faîtes le parcours en entier, prévoyez quatorze jours avec une moyenne de sept heures de marche par jour. De Calinzana en Haute-Corse à Conca en Corse du Sud, le GR 20 est divisé en quinze étapes. Vous trouverez un descriptif de chacune d'entre elle en bas de cette page. Ne ratez pas : la passerelle suspendue de Spasimata, le lac de la Muvrella, le Cirque de la solitude, l'étape des lacs de montagne (la n° 7), le train de Vizzavona, les cascades et les piscines naturelles.

Le sentier est praticable de la mi-juin jusqu'à la mi-octobre. Si vous avez peur du monde et des grosses chaleurs, préférez les mois de septembre et d'octobre au mois d'août. Ayez cependant en tête qu'à 2000 mètres d'altitude les températures ne sont pas aussi élevées que sur la côte. Entre novembre et mai, le GR 20 est enneigé et se parcourt en partie à ski. C'est une très belle randonnée hivernale, mais elle est réservée aux skieurs et aux montagnards chevronnés.

Localisation : De Calinzana en Haute-Corse à Conca en Corse du Sud
Etapes : 15
Durée : 14 jours
Période : de juin à octobre
Site du Parc naturel régional de corse : parc-naturel-corse.com

Karhunkierros, le chemin de l'ours

Le chemin de l'ours, Karhunkierros en Finlandais, est un sentier de randonnée qui se trouve au nord de la Finlande, proche de la commune de Kuusamo, à la frontière de la Russie et de la Laponie et à la limite du cercle polaire arctique. D'une longueur de 82km, le Karhunkierros se pratique en 4 ou 5 jours et fait partie des chemins de randonnée faciles car les dénivelés sont faibles et le portage est réduit grâce au fantastique réseau de refuges Finlandais.


Observation de la Faune et des Oiseaux

Dans de nombreux coins de Finlande, il reste encore des lacs et des ruisseaux à l’eau cristalline et des étendues de nature sauvage pratiquement intactes, où vous pouvez entendre soupirer le vent dans des forêts ancestrales et profiter de l’air pur. La Finlande fait partie des pays les plus septentrionaux du monde, il n’est donc pas étonnant qu’elle compte parmi sa faune de nombreuses espèces typiques du nord et de l’est, rarement rencontrées ailleurs en Europe.

La revendication de la Finlande d’être l’un des derniers espaces sauvages de l’Europe est légitime. Le pays, couvert de lacs immenses et de forêts étendues, est plus grand que le Royaume Uni, mais ne compte qu’un douzième de sa population. Il est donc beaucoup plus facile d’échapper aux foules ici que dans de nombreux autres pays européens. Les forêts, majoritairement de bouleaux, de pins et d’épicéas, abritent également quelques espèces d’animaux exotiques.

La Finlande compte un millier d’ours bruns, mais bien qu’ils soient devenus audacieux pendant ces dernières années, en général ils évitent les humains, vous avez donc peu de chances d’en rencontrer dans la forêt. Les élans sont cependant très répandus et vous devriez prendre très au sérieux les panneaux indiquant leur éventuelle présence sur les routes finlandaises, étant donné que ces grands animaux peuvent soudainement surgir sur la route, et sont lents à se décider à faire demi-tour. Dans le grand Nord, on trouve encore des lynx, mais vous seriez très chanceux si vous en aperceviez un dans la nature. Les rennes, quant à eux, sont extrêmement courants dans le Nord, en Laponie, et vous manqueriez vraiment de chance, si vous n’arriviez pas à en rencontrer, lorsque vous circulez au-dessus du cercle polaire. Ces animaux sont semi-domestiques, mais on les laisse en liberté pour se nourrir. L’élevage des rennes reste une source de revenu importante pour la population lapone et le rassemblement des troupeaux, en automne, offre un spectacle saisissant.

Dans la région de Helsinki, même en plein centre ville, il est fréquent de voir des lièvres d’une taille impressionnante ainsi que des faisans et des écureuils. Une espèce rare d’écureuil volant a également élu domicile près de la capitale, dans de petites zones bien délimitées de la forêt. La Finlande compte parmi ses espèces d’oiseaux entre autres le grand tétras et le magnifique cygne chanteur, oiseau national du pays. Pour compléter la liste de la faune sauvage, citons les poissons abondants de la Finlande, car le littoral, les lacs et les rivières constituent un véritable paradis de pêcheurs. Saumon, truite arc-en-ciel, omble chevalier, lavaret, perche et sandre pour ne mentionner que quelques exemples parmi les espèces les plus communes.

La plus grande partie de la zone géographique occupée par la Finlande se situe dans la zone de conifères septentrionale et les forêts couvrent 69 % de sa superficie totale. La majorité des oiseaux et mammifères les plus intéressants, c’est-à-dire hiboux et chouettes, pics, tétras lyres, élans, ours, lynx et gloutons, vivent dans des forêts anciennes.

Les lacs et les rivières représentent environ 10 % de la superficie de la Finlande. En effet, le pays compte presque 200.000 lacs. Parmi les espèces d’oiseaux caractéristiques pouvant être observées sur les lacs figurent le plongeon arctique, le grèbe jougris et la mouette pygmée. Les baies peu profondes à l’eau saumâtre des côtes finlandaises abritent une grande variété de gibier d’eau et d’échassiers.

Sur les monts sans arbres de la Laponie, dans la partie la plus septentrionale de la Finlande, on rencontre des espèces spécifiques de la toundra : pluvier guignard, lagopède alpin et gerfaut, le plus grand faucon du monde.



Sur les pas de l’ours finlandais

03-05-06
Auteur : Taïna Tuhkunen


L’emblème national de la Finlande est le lion. Pourtant, bien plus que l’animal des savanes, c’est l’ours brun des forêts nordiques que l’on trouve dans les divers symboles qui marquent la vie et la culture finlandaises.

Lorsqu’on se promène au centre de Helsinki il n’est pas rare de voir des figures ou des reliefs d’ours comme ornements de bâtiments.


Dans la ville de Pori, véritable arctopolis, ville d’ours de la Finlande, on ne peut faire que quelques pas sans apercevoir un ours associé à un nom de magasin, d’équipe sportive ou de produit local. Tous les Finlandais connaissent la fameuse Bière d’ours (Karhu Olut) de Pori, de même que la statue d’Emil Cedercreutz aux contours rondelets qui symbolise cette ville fondée au 16e siècle.

Mais ceci n’est guère surprenant pour une ville dont le blason arbore un ours coiffé d’une couronne et dont le nom d’origine suédoise (Björneborg) signifie littéralement château d’ours.

L’ours est arrivé en Finlande dès la fin de l’ère glacière, en même temps que l’homme. Il fut chassé presque jusqu’à l’extinction au cours du 19e siècle, non seulement pour sa chair et pour sa fourrure, mais en raison de la peur qu’il suscitait chez l’homme.

Selon un spécialiste finlandais des ours, Juha Pentikäinen, professeur en religions comparées à l’Université de Helsinki, l’ours était montré du doigt par les pères de l’église finlandaise qui y voyaient une menace pour le christianisme. À leurs yeux, pour éradiquer les cultes païens, il fallait se débarrasser de l’animal totémique à travers lequel se perpétuaient bon nombre d’anciennes croyances. Ainsi, à l’instar des tambours appartenant aux sorciers lapons, l’ours se trouvait sur la liste des choses à bannir et à détruire.

Auteur de plusieurs ouvrages passionnants dont le dernier s’intitule Sur les pas de l’ours (1), Pentikäinen retrace l’histoire de l’ursus arctos finlandais à travers les mythes et les rites dont certains reflètent la mythologie grecque. En même temps, il fournit un éclairage captivant sur la Finlande archaïque qui s’est, peu à peu, effacée devant le christianisme.

Selon un dicton finnois, l’enfant chéri a plusieurs noms. Cet adage s’applique tout particulièrement à l’ours que la langue finnoise a doté de plus de 200 noms différents. À la fois « Patte de miel » (Mesikämmen), « Roi de la forêt » (Metsän kuningas), « Bonhomme des bois » (Metsän ukko), « Mangeur de vaches » (Lehmänsyöjä), « Fauve des taillis » (Metsänpeto), l’ours ne pouvait être désigné par son vrai nom (karhu) de peur qu’il n’apparaisse en chair et en os.

Les Finlandais d’aujourd’hui savent bien que l’ours évite de tomber nez à nez avec l’homme, mais leurs ancêtres marqués par la vision animiste du monde préféraient recourir aux périphrases et autres détours de langage pour invoquer la créature sacrée.

L’ours occupait une place centrale dans le vie du peuple finnois avant l’ère chrétienne. L’année était ponctuée de rites qui s’organisaient autour de ce prédateur à la fois réel et légendaire, terrestre et cosmique. Son abattage se déroulait selon un rituel établi, rythmé de chants spécifiques. Au cœur du festin se trouvait l’ours, l’invité d’honneur, mais également sa fiancée, jouée généralement par une jeune femme du village.

Au terme du rituel l’ours était renvoyé à son lieu de naissance céleste. Pour faciliter ce retour chez les ancêtres, son crâne était ramené, en procession solennelle, dans la forêt pour y être accroché à un grand pin. Par le même geste final on cherchait à garantir le retour ultérieur de l’ours sur terre. Comme le souligne Juha Pentikäinen, l’animal totémique était à la fois redouté et vénéré. Une fois abattu, l’ours devait être apaisé, avant d’être renvoyé chez lui de manière à ne pas entraver les chasses futures.

Dans l’épopée finnoise Le Kalevala, nous trouvons des chants qui attirent l’attention sur l’origine cosmique de l’ours. Au cours du chant 46, on nous raconte comment Väinämöinen chasse et tue un ours (Otso), avant de le célébrer par ses paroles de barde:

Otso n’est point né sur la paille
ni sur le bourrier d’un hâloir!

Otso nous est né tout là-bas,
on a tourné ses doigts de miel
chez la lune, au creux du soleil,
sur l’épaule de la Grande Ourse,
auprès des pucelles du ciel,
chez les fillettes de la terre.(2)

D’après Gabriel Rebourcet, traducteur de l’épopée finnoise, le but du culte de l’ours était d’éliminer tout trait odieux ou déplaisant de la relation entre l’homme et l’ours, son frère mythique. Par ailleurs, la représentation de l’ours par Le Kalevala n’est pas sans nous rappeler que pour de nombreuses communautés ethniques, y compris en France, l’ours était considéré non seulement comme un ancêtre et un parent, mais comme un homme déchu qui malgré sa transformation a conservé la capacité de comprendre la langue des humains.

Il y a, en Finlande, plus de 700 000 lieux qui portent un nom relatif à l’ours. Pourtant, à l’inverse des villages pyrénéens, on n’y organise pas de festivités ni d’événements carnavalesques autour de cet animal emblématique. La disparition des festins d’ours ne signifie toutefois pas que l’ours aurait perdu sa place dans le cœur et l’imaginaire des Finlandais. Au contraire, comme l’a montré le symposium international consacré à l’ours, organisé à l’Université de Pori en novembre 2005, il y aurait suffisamment de matière pour rédiger toute une nouvelle épopée. À en croire Juha Pentikäinen, grand défenseur des ours, une telle épopée élaborée à partir des chants d’ours finnois et caréliens datant du 17e siècle serait encore plus authentique que Le Kalevala composé par Elias Lönnrot au 19e siècle.

Aujourd’hui, l’ours brun ne semble pas menacé en tant qu’espèce. Les permis de chasse sont délivrés surtout pour éliminer les spécimens trublions ou en mauvaise santé. Après avoir été repoussés dans les grandes forêts des régions frontalières du nord et de l’est, les ours sont maintenant au nombre d’un millier sur l’ensemble du territoire finlandais. Seuls l’archipel du sud-ouest et les Iles Åland ne comptent pas un seul ours.

Dans les pays nordiques, tout comme sur le continent américain, l’ours a certes dû reculer au fur et à mesure que les habitations de l’homme ont gagné du terrain, mais compte tenu des plans de protection nationaux et européens à l’égard des grands prédateurs, sa situation est restée stable. Comme en France, les principaux conflits entre l’homme et l’ours sont les dégâts causés aux éleveurs, en Finlande surtout aux éleveurs de rennes. Par contre, les modifications dans les activités forestières ne semblent pas avoir posé de problème majeur pour le roi de la forêt.

De nouveaux problèmes pourraient toutefois s’afficher à l’horizon. Parmi eux, le fait que l’ours semble parfois moins craintif par rapport à l’homme, ce qui se traduit par le refus de s’éloigner suffisamment des agglomérations. Or, personne ne souhaiterait voir le plantigrade légendaire des forêts nordiques se transformer en un prédateur junky qui fouillerait dans les poubelles au lieu de se nourrir de baies, d’insectes et de champignons.

1 Juha Pentikäinen, Karhun kannoilla, Helsinki : Etnika Oy, 2005.
2 Elias Lönnrot, Le Kalevala : Épopée des Finnois, trad. Gabriel Rebourcet, Paris : Gallimard, 1991, p. 352.


Ours brun

L’ours brun (Ursus arctos) est l’un des mammifères terrestres les plus impressionnants. En Amérique du Nord, l'ours brun est appelé Grizzly (Grizzli en français). En France, l'ours des Pyrénées qui est également une sous-espèce d'ours brun, est devenu tristement célèbre à cause de la mort de Cannelle, la dernière représentante de la lignée.

Ursus arctos se décline en 16 sous-espèces dont les caractères morphologiques varient. Ces 16 sous-espèces sont reconnues par la plupart des auteurs.

Parmi elles, on peut citer:
Ours Kodiak (Ursus arctos middendorffi)
Ours brun d’Eurasie (Ursus arctos arctos)
Grizzli des Rocheuses (Ursus arctos horribilis)

Le plus puissant des ours bruns est l'ours kodiak.

http://ec.europa.eu/environment/life/publications/lifepublications/lifefocus/documents/oursbrun.pdf


Historique de la présence de l'ours en Espagne

Historique du déclin des Ours en Espagne et un peu en France

XVème siècle : la population d'ours des Pyrénées est connectée avec le "système central", Montes de Léon, Zamora et Gredos. Les ours se trouvaient toujours dans le nord de " Système Ibérique " dans le Cuenca.
Les gens du peuple ont le droit de chasser des ours. Début du déclin massif
XIIXème siècle, début de l'extinction des ours au Pays Basque. Ceci a cassé le lien entre Pyrénées et Cantabrique. Les ours s'éteignent également en Espagne centrale (Gredos) et méridionale. Il est inimaginable aujourd'hui d'envisager un retour de l'ours au Pays-Basque compte tenu de l'urbanisme de la densité de population et d'industrie.
XIXème siècle : démocratisation des armes à feu
1935 : Environ 200 ours survivent dans les Pyrénées et Pré-Pyrénées.
1952 : La chasse à l'ours est interdite en Espagne pour 5 ans
1954 : Environ 70 ours vivent dans les Pyrénées
1957 : La chasse légale de l'ours revient en Espagne. La chasse périodiquement interdite et re-légalisée en France (1949-1960)
1960 : La chasse à l'ours est interdite en France
1962 : Les ours des Cantabriques se séparent en deux populations. On estime celle de l'Ouest à 77 individus et celle de l'Est à 15 ou 16 ours.
1967 : La chasse à l'ours est finalement interdite en Espagne
1970 : il reste environ 40 ours dans les Pyrénées
1973 : Protection totale des ours en Espagne
1976 : Protection totale des ours en France
1979 - 1981 : 25 ours sont tués par des braconniers dans les Cantabriques
1981 : On estime que la population d'ours dans les Cantabriques est de 82 à 103 dans la partie Ouest et 29 à 41 dans la partie Est.
1986 : L'ours est strictement protégé par la Convention de Berne. Un premier programme d'introduction d'ours des Balkan est envisagé dans Pyrénées françaises.
Au début des années 1990, il ne reste que 80 ours dans les Cantabriques.
2005 : Il n'y a pas de distinction entre les ours des Pyrénées françaises et espagnoles. Ce sont les mêmes qui passent de part et d'autre de la frontière. L'ours des Pyrénées est biologiquement disparu. Il reste une population dispersée de 14 à 16 ours. Un programme français assez polémique de part et d'autre est mis en place en important des ours de Slovénie en France. Dans le même temps, la situation de l'ours en Cordillère Cantábrica s'améliore avec 25 individus d'un côté et entre 118 et 140 ours de l'autre soit un total entre 143 et 165 individus.

Beaucoup de personnes ont des difficultés à situer les Asturies, les Monts Cantabriques, les Picos de Europa et donc le lieu où se situe la population d'ours en Espagne.
Il ne faut pas confondre les Pyrénées espagnoles, versant sud des Pyrénées, dont la population d'ours est la même qu'en France et la population d'ours ibériques dans les Cantabriques (Cantabricas).

http://fr.wikipedia.org/wiki/Ours

In the Frame or not

Fotowettbewerb Reisefotografie

Die Fotozeitschrift ‘SPIEGELREFLEX digital’, herausgegeben von Dr. Artur Landt, schreibt kurzfristig und passend zum Themenschwerpunkt ihrer jeweils nächsten Ausgabe kleine Fotowettbewerbe für ihre Leser aus. Der Reiz zur Teilnahme besteht neben Sachpreisen vor allem darin, das eigene Foto in sehr guter Qualität und im Umfeld angesehener Fachautoren gedruckt zu sehen.


Die Fotozeitschrift NaturFoto schreibt gemeinsam mit dem Palmengarten Frankfurt diesen Fotowettbewerb zum Thema ‘Die Farben der Pflanzen’ aus.
Bilder von heimischen wie exotischen Pflanzen, auf denen deren Farben eine herausragende Bedeutung spielen, werden gesucht, egal ob Fotos von Blüten oder Blütenteilen, herbstlich leuchtenden Blättern, Details oder Übersichten.


06.09.-04.10.2009 Noorderlicht Photofestival 2009
Call for entries - Deadline 03.04.2009: Fotografen und Kuratoren sind eingeladen, sich beim ‘16th Noorderlicht International Photofestival 2009′ zu beteiligen und ihre Arbeiten und Vorschläge einzureichen.

Quand on naît salade, l'huile et le vinaigre vous tombent du ciel.

Quand on naît salade, l'huile et le vinaigre vous tombent du ciel.

Elena Poniatowska


Née à Paris en 1932, Elena Poniatowska émigre au Mexique en 1942. Elle est la première femme à avoir reçu le prix national du journalisme en 1979 et une grande partie de son œuvre exploite les différentes facettes de l’activité journalistique : entretiens avec des écrivains, et avec des personnalités du monde des arts et du spectacle, réunis dans les huit volumes, parus à ce jour, de Todo México ; enquêtes de terrain, dans La noche de Tlatelolco (1971) après le massacre de la Place des Trois Cultures en 1968, dans Fuerte es el silencio (1980) ; chroniques sur la ville de Mexico, dans Nada, nadie. Son œuvre littéraire explore les blessures de l’histoire. Dans Las voces del temblor (1988) situé après le tremblement de terre de 1985 ou dans Amanecer en el zócalo (2008), elle revient sur le grand mouvement de résistance civique de 2006 ; dans Vie de Jesusa (1969) elle donne la parole à une femme d’un faubourg pauvre de Mexico, ancienne combattante de la Révolution de 1910. Sa biographie romancée, Tiníssima (1992), retrace la carrière de la photographe Tina Modotti. A partir des lettres apocryphes d’Angelina Beloff, première femme du peintre, elle retrace la vie de Diego Riveira dans Cher Diego, Quiela t’embrasse (1978). La fiction occupe une place importante dans son œuvre, que ce soit des nouvelles (La fille du philosophe, 1979, Tlapalería, 2003) ou des romans, comme Lilus Kikus (1954), La piel del cielo (prix Alfaguara du roman en 2001), Paseo de la Reforma, ou El tren pasa primero, sur la grande grève des cheminots de 1959 et pour lequel elle a reçu en 2007 le prix « Rómulo Gallegos ». CF

Traduits en français
Lilus Kikus, trad. par Françoise Léziart, ill. de Leonora Carrington, éd. Les Perséides, 2006 Frida Kahlo : un portrait photographique, texte de Elena Poniatowska, Carla Stellweg, trad. par Brice Matthieussent, éd. Arthaud, 1992 La Fille du philosophe, trad. par Rauda Jamis, éd. Actes Sud, 1989 Cher Diego, Quiela t’embrasse, trad. par Rauda Jamis, éd. Actes Sud, 1984, et Babel n°65 Vie de Jesusa, trad. par Michel Sarre, éd. Gallimard, 1980

Thursday, March 05, 2009

Fotos 'para llevar'

Une nouvelle du Petit Nicolas : «Le théâtre»